Quando accade un avvenimento sconvolgente come la morte sul campo di gioco di uno sportivo, specialmente un ragazzo che si sta appena affacciando alla avventura della vita, i sentimenti che emergono sono molteplici: disperazione, sgomento, dolore, a volte indignazione e rabbia, come nel caso del ragazzino ucciso dall'impatto con un rubinetto mentre giocava a calcio su uno dei mille campi della periferia di Roma.
Ma, nella maggioranza delle volte, i sentimenti si attenuano con il trascorrere del tempo, lasciando il posto ad una inconscia rassegnazione, attribuendo, in fondo, al fato la responsabilità dell'evento e continuando a vivere più o meno come prima, magari relegando l'argomento alle chiacchierate con colleghi di lavoro, famigliari o amici del bar.
Se questo accade, la morte, in tutta la sua indubbia sconvolgente tragicità non ha senso e non serve a nulla, se non a lasciare un vuoto incolmabile nelle persone che hanno amato e conosciuto la vittima.
Conoscere la Fondazione Giorgio Castelli è stato per me constatare che anche un accadimento così tragicamente sconvolgente, come la scomparsa di un figlio o di un fratello o nipote, può trovare un senso nell'impegno costante perchè ciò non accada mai più.
L'attività della Fondazione Castelli va oltre un sostegno tecnico agli operatori sportivi. Ha per me un valore intrinseco probabilmente superiore alla attività che la Fondazione promuove: ha la forza di creare una mentalità fortemente legata al sociale e al risveglio delle coscienze di ciascuno. E' dedicarsi ad una attività esclusivamente orientata "all'altro". E tutto questo può diventare una delle cose che possono dare il senso alla vita di ciascuno di noi, è trovare una collocazione nella storia di un territorio, di una comunità, di un paese. Dedicarsi all'altro e perdere un po' di se stessi vuol dire riappropriarsi della propria Missione di uomo che, in questo breve viaggio che facciamo in questa vita, scopre che "dare" arricchisce più che "ricevere" .
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