DEFIBRILLATORI ENNESIMO RINVIO
QUANDO DIVENTEREMO UN PAESE SERIO?
Siamo alle solite. L’applicazione del decreto Balduzzi che imponeva a
tutte le realtà sportive di dotarsi di defibrillatori semiautomatici e di
personale addestrato all’intervento in caso di arresto cardiopolmonare, ha
subito l’ennesimo rinvio. Il termine del 20 Luglio è stato prorogato alla fine
di Novembre 2016. Rinvio dopo rinvio, il decreto, in attuazione della Legge 189
dell’8 novembre 2012, dopo quattro anni rimane solo ancora sulla carta. “ Dal
giorno di approvazione della Legge (Novembre 2012) – si legge sulla pagina
facebook della Fondazione Giorgio Castelli - da sempre in prima fila nella
battaglia per la diffusione della cultura dell’emergenza – sono più di 500 le
persone colpite da arresto cardiaco durante l’attività sportiva. La presenza e
l’uso del defibrillatore ne avrebbero potute salvare una percentuale
importante, che invece non ha avuto scampo.” Quaranta mesi (e dieci giorni) e
ancora non possiamo essere certi che quello del 30 novembre rappresenti il
termine ultimo, in quanto la motivazione addotta dagli autori del rinvio,
firmato dalla ministra Beatrice Lorenzin, parla di incompleto addestramento da
parte degli operatori deputati all’uso. Ma, come fa sempre correttamente notare
la Fondazione Castelli, adottare una proroga di quattro mesi, di cui due di
piena estate, cambierà la situazione? Con molta probabilità, quindi, il decreto
Balduzzi rischia di subire un ulteriore slittamento dei termini.
Chiediamo a Marco Giustinelli, Direttore di Istituto Professionale e
Collaboratore del Comitato Regionale Lazio della Federazione Italiana Giuoco
Calcio di chiarirci alcuni aspetti del problema.
Che cosa è un defibrillatore?
“Il defibrillatore semiautomatico, o DAE, è un apparecchio elettronico
che permette, anche a chi non è medico, di poter soccorrere una persona che
versa in stato di arresto cardiorespiratorio. E’ realizzato in modo che entra
in azione solo se è necessario, bloccando in modo automatico l’uso improprio e
la possibilità quindi di commettere errori. All’operatore rimane solo l’onere di
garantire la sicurezza dell’ambiente e delle persone nel momento
dell’erogazione della scarica. Una voce automatica guida passo passo le
operazioni, aiutando l’operatore che, essendo , appunto, un “non” sanitario,
potrebbe non avere la lucidità per ricordare tutta la procedura a memoria”
Ma non sarebbe meglio aspettare i soccorsi e far intervenire personale
qualificato?
“C’è un solo problema che non consente questo, ed è il tempo a
disposizione. Se in questo momento io venissi colpito da un arresto cardiopolmonare,
la mia unica speranza di sopravvivenza è che almeno uno di voi sia in grado di
intervenire con manovre salvavita e, appunto, con la defibrillazione precoce.
Nel momento che mi si arresta il cuore, sono clinicamente morto e solo un
intervento entro tre/quattro minuti può darmi la speranza di riattivarlo.
Passati dieci minuti avviene anche la morte biologica, con le cellule cerebrali
che iniziano a morire. Si capisce bene che nessuna ambulanza e nessun servizio
di pronto soccorso, per quanto veloce e efficiente possa essere, è in grado di
intervenire in tempi così ristretti. La speranza di sopravvivere è quindi
legata alla preparazione delle persone che mi circondano e, appunto, alla
presenza e all’uso del defibrillatore.”
Qualcuno dice che avrebbe paura ad intervenire per paura di conseguenze
legali in caso di manovre sbagliate.
“E’ una affermazione che mi fa sorridere. E’ come se mio figlio di
cinque anni stesse annegando al mare a due metri da me e io, invece di
soccorrerlo direttamente, uscissi dall’acqua per chiamare il bagnino. La legge
tutela, in ogni caso, colui che agisce in stato di emergenza, anche se dovesse
causare danni. Comunque è un falso problema. Chi è in arresto cardiaco è morto.
Punto. Qualunque azione io faccia, giusta o sbagliata, non potrà aggravare
ovviamente la situazione. L’intervento di un soccorritore può fare la
differenza tra la vita e la morte. Inoltre, ad ulteriore garanzia, nel momento
che metto in funzione il defibrillatore, un microfono ambientale registra
quanto accade, tutelando l’operato del soccorritore anche rispetto all’aspetto
della sicurezza ambientale che, ripeto, è l’unica parte che ricade sotto la
responsabilità dell’operatore.”
Un altro problema sono i corsi di addestramento e il loro costo che
rappresenta un ulteriore onere a carico delle società sportive, soprattutto
delle più piccole.
“Anche questa è una affermazione non esatta. Il movimento a favore
della cultura dell’emergenza è ormai diffuso su tutto il territorio ed opera
principalmente in regime di volontariato. La Fondazione Castelli, con la quale
collaboro da anni, svolge, in collaborazione con Ares 118, corsi completamente
a titolo gratuito. E come lei, tante altre associazioni. Il corso poi, dura una
mattinata, generalmente di sabato per consentire a tutti di partecipare. Quindi
non concediamo alibi. La formazione è semplice, rapida e gratuita.”
Anche il defibrillatore ha però un costo importante.
“L’apparecchio costa intorno ai mille euro. Se consideriamo che anche per
una piccola società che ha un centinaio di ragazzi iscritti, si tratterebbe di
chiedere un euro in più al mese per un anno a ciascuna famiglia. Sfido chiunque
a dimostrarmi che un genitore, opportunamente informato, baratterebbe la
sicurezza di suo figlio contro meno di un caffè al mese. Un paio di parastinchi
costa certamente di più e protegge una parte del corpo sicuramente meno
importante e nessuno ha mezzo problema ad acquistarli. Inoltre per le società
di calcio del Lazio, grazie all’aiuto del Comitato regionale, c’è la
possibilità di acquistarlo a prezzo convenzionato e con un pagamento rateale.”
Allora, dove sta il problema?
“Il problema è essenzialmente culturale. E l’applicazione della Legge
è uno sprone che non sostituisce lo spirito di solidarietà e condivisione che
rappresenta uno dei valori di chi fa sport, ma comunque lo rafforza. Provvedersi
di un defibrillatore e addestrarsi al suo utilizzo, significa avviare un ciclo
virtuoso che innalza la qualità generale dell’ambiente. Chi diventa un
soccorritore laico non lo fa per sé, ovviamente, ma per essere in grado di
aiutare il prossimo. Nel 2009 abbiamo introdotto nell’Istituto di formazione
dove lavoro un corso obbligatorio per tutti gli allievi, di rianimazione cardio
polmonare. In sette anni abbiamo sensibilizzato oltre mille ragazzi, mandando
un messaggio forte in direzione della solidarietà e dell’attenzione all’altro.
Creare la cultura dell’emergenza, oltre che ad innalzare il livello di
sicurezza negli ambienti dove si gioca, si studia, si lavora, contribuisce a
formare persone e cittadini migliori. E su questo, la distrazione della classe
politica non è sintomo di grande senso di responsabilità.”
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