domenica 7 agosto 2016

Defibrillatori. L'obbligo slitta a Dicembre

DEFIBRILLATORI ENNESIMO RINVIO
QUANDO DIVENTEREMO UN PAESE SERIO?


Siamo alle solite. L’applicazione del decreto Balduzzi che imponeva a tutte le realtà sportive di dotarsi di defibrillatori semiautomatici e di personale addestrato all’intervento in caso di arresto cardiopolmonare, ha subito l’ennesimo rinvio. Il termine del 20 Luglio è stato prorogato alla fine di Novembre 2016. Rinvio dopo rinvio, il decreto, in attuazione della Legge 189 dell’8 novembre 2012, dopo quattro anni rimane solo ancora sulla carta. “ Dal giorno di approvazione della Legge (Novembre 2012) – si legge sulla pagina facebook della Fondazione Giorgio Castelli - da sempre in prima fila nella battaglia per la diffusione della cultura dell’emergenza – sono più di 500 le persone colpite da arresto cardiaco durante l’attività sportiva. La presenza e l’uso del defibrillatore ne avrebbero potute salvare una percentuale importante, che invece non ha avuto scampo.” Quaranta mesi (e dieci giorni) e ancora non possiamo essere certi che quello del 30 novembre rappresenti il termine ultimo, in quanto la motivazione addotta dagli autori del rinvio, firmato dalla ministra Beatrice Lorenzin, parla di incompleto addestramento da parte degli operatori deputati all’uso. Ma, come fa sempre correttamente notare la Fondazione Castelli, adottare una proroga di quattro mesi, di cui due di piena estate, cambierà la situazione? Con molta probabilità, quindi, il decreto Balduzzi rischia di subire un ulteriore slittamento dei termini.
Chiediamo a Marco Giustinelli, Direttore di Istituto Professionale e Collaboratore del Comitato Regionale Lazio della Federazione Italiana Giuoco Calcio di chiarirci alcuni aspetti del problema.

Che cosa è un defibrillatore?
“Il defibrillatore semiautomatico, o DAE, è un apparecchio elettronico che permette, anche a chi non è medico, di poter soccorrere una persona che versa in stato di arresto cardiorespiratorio. E’ realizzato in modo che entra in azione solo se è necessario, bloccando in modo automatico l’uso improprio e la possibilità quindi di commettere errori. All’operatore rimane solo l’onere di garantire la sicurezza dell’ambiente e delle persone nel momento dell’erogazione della scarica. Una voce automatica guida passo passo le operazioni, aiutando l’operatore che, essendo , appunto, un “non” sanitario, potrebbe non avere la lucidità per ricordare tutta la procedura a memoria”

Ma non sarebbe meglio aspettare i soccorsi e far intervenire personale qualificato?
“C’è un solo problema che non consente questo, ed è il tempo a disposizione. Se in questo momento io venissi colpito da un arresto cardiopolmonare, la mia unica speranza di sopravvivenza è che almeno uno di voi sia in grado di intervenire con manovre salvavita e, appunto, con la defibrillazione precoce. Nel momento che mi si arresta il cuore, sono clinicamente morto e solo un intervento entro tre/quattro minuti può darmi la speranza di riattivarlo. Passati dieci minuti avviene anche la morte biologica, con le cellule cerebrali che iniziano a morire. Si capisce bene che nessuna ambulanza e nessun servizio di pronto soccorso, per quanto veloce e efficiente possa essere, è in grado di intervenire in tempi così ristretti. La speranza di sopravvivere è quindi legata alla preparazione delle persone che mi circondano e, appunto, alla presenza e all’uso del defibrillatore.”

Qualcuno dice che avrebbe paura ad intervenire per paura di conseguenze legali in caso di manovre sbagliate.
“E’ una affermazione che mi fa sorridere. E’ come se mio figlio di cinque anni stesse annegando al mare a due metri da me e io, invece di soccorrerlo direttamente, uscissi dall’acqua per chiamare il bagnino. La legge tutela, in ogni caso, colui che agisce in stato di emergenza, anche se dovesse causare danni. Comunque è un falso problema. Chi è in arresto cardiaco è morto. Punto. Qualunque azione io faccia, giusta o sbagliata, non potrà aggravare ovviamente la situazione. L’intervento di un soccorritore può fare la differenza tra la vita e la morte. Inoltre, ad ulteriore garanzia, nel momento che metto in funzione il defibrillatore, un microfono ambientale registra quanto accade, tutelando l’operato del soccorritore anche rispetto all’aspetto della sicurezza ambientale che, ripeto, è l’unica parte che ricade sotto la responsabilità dell’operatore.”

Un altro problema sono i corsi di addestramento e il loro costo che rappresenta un ulteriore onere a carico delle società sportive, soprattutto delle più piccole.
“Anche questa è una affermazione non esatta. Il movimento a favore della cultura dell’emergenza è ormai diffuso su tutto il territorio ed opera principalmente in regime di volontariato. La Fondazione Castelli, con la quale collaboro da anni, svolge, in collaborazione con Ares 118, corsi completamente a titolo gratuito. E come lei, tante altre associazioni. Il corso poi, dura una mattinata, generalmente di sabato per consentire a tutti di partecipare. Quindi non concediamo alibi. La formazione è semplice, rapida e gratuita.”

Anche il defibrillatore ha però un costo importante.
“L’apparecchio costa intorno ai mille euro. Se consideriamo che anche per una piccola società che ha un centinaio di ragazzi iscritti, si tratterebbe di chiedere un euro in più al mese per un anno a ciascuna famiglia. Sfido chiunque a dimostrarmi che un genitore, opportunamente informato, baratterebbe la sicurezza di suo figlio contro meno di un caffè al mese. Un paio di parastinchi costa certamente di più e protegge una parte del corpo sicuramente meno importante e nessuno ha mezzo problema ad acquistarli. Inoltre per le società di calcio del Lazio, grazie all’aiuto del Comitato regionale, c’è la possibilità di acquistarlo a prezzo convenzionato e con un pagamento rateale.”

Allora, dove sta il problema?

“Il problema è essenzialmente culturale. E l’applicazione della Legge è uno sprone che non sostituisce lo spirito di solidarietà e condivisione che rappresenta uno dei valori di chi fa sport, ma comunque lo rafforza. Provvedersi di un defibrillatore e addestrarsi al suo utilizzo, significa avviare un ciclo virtuoso che innalza la qualità generale dell’ambiente. Chi diventa un soccorritore laico non lo fa per sé, ovviamente, ma per essere in grado di aiutare il prossimo. Nel 2009 abbiamo introdotto nell’Istituto di formazione dove lavoro un corso obbligatorio per tutti gli allievi, di rianimazione cardio polmonare. In sette anni abbiamo sensibilizzato oltre mille ragazzi, mandando un messaggio forte in direzione della solidarietà e dell’attenzione all’altro. Creare la cultura dell’emergenza, oltre che ad innalzare il livello di sicurezza negli ambienti dove si gioca, si studia, si lavora, contribuisce a formare persone e cittadini migliori. E su questo, la distrazione della classe politica non è sintomo di grande senso di responsabilità.”

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