venerdì 30 luglio 2010

BRAIN STORMING

Fare cultura. Un imperativo per una generazione che non si vuole perdere tra i flutti del velinismo o del superenalottismo a tutti i costi. In un momento di estrema confusione sociale, dove la finanza ha preso il posto dell’economia e non è più chiara neanche la differenza semantica tra i verbi “essere” e “avere”, è necessario, anzi, indispensabile, che tutti, ma soprattutto i giovani, riprendano in mano quello straordinario strumento che è la conoscenza.

La conoscenza è l’unico elemento che ci permette di tutelare e far crescere quel bene fondante che è la Libertà.

Oggi la conoscenza viene relegata in secondo piano e la cultura, che è l’insieme del bagaglio delle conoscenze, ne soffre in modo determinante. Il livello di quelle che debbono essere le fonti della conoscenza è sempre più basso, con il rischio di ritrovarci in un medioevo culturale dove la globalizzazione non è altro che il livellamento in basso dei saperi, dei prodotti, del pensiero.

Nel nome della globalizzazione si cerca di far passare un concetto di Libertà che non è altro che una estremizzazione del relativismo etico e culturale. Non è libertà togliere il presepe dalle scuole durante il Natale per una forma di rispetto dell’identità religiosa di qualcuno. Libertà è scelta, è opportunità. Togliere un simbolo religioso non arricchisce nessuno e impoverisce tutti.

Il rispetto è un'altra cosa. Il rispetto è disponibilità all’ascolto dell’altro, è dialettica, è considerare l’idea dell’altro come degna di essere dibattuta, analizzata e, infine, anche combattuta con decisione e fermezza. Togliere, eliminare, selezionare, sono verbi che non appartengono alla visione della vita come luogo della Libertà.

Il pensiero dominante è basato sulla assolutizzazione del ruolo del denaro e della finanza. E per far passare questo concetto alla maggioranza degli individui, sono necessari due elementi fondamentali: la mistificazione e le menzogna sistematica.

Perché si spaccia regolarmente una cosa per un'altra. Ad esempio, si cerca di far passare alla gente comune il concetto che i prodotti cinesi costano “poco” perché la manodopera in quei paesi è più a buon mercato.

Non c’è menzogna più grande e più palese di questa!

Nella produzione di una autovettura o di un televisore o di un computer, l’incidenza dell’intervento umano non è superiore al 6/10%. Quindi, in linea puramente teorica, un televisore fabbricato a Pechino, anziché a Milano dovrebbe costare al massimo il 10% in meno. Se a questo risparmio, togliamo le spese di trasporto, il margine si assottiglia ancora di più e, quindi, in linea puramente teorica un prodotto che viene dall’oriente dovrebbe costare più o meno come quello fabbricato dalle parti nostre. E allora, dove sta il trucco?

Purtroppo è semplice individuarlo: il trucco sta in due paroline semplici semplici. Sicurezza e Qualità.

Se io produco in uno stato dove posso prendere un bambino di cinque anni, chiuderlo in un buco di due metri quadrati per dodici ore al giorno, facendogli respirare veleni senza protezione alcuna e scaricando nell’ambiente gas tossici senza controllo e immettendo sul mercato prodotti che ti fanno venire l’orticaria o il cancro, sto forse risparmiando?

Nei fatti sto diluendo il costo e sto facendolo pagare a qualcun altro in un altro momento.

L’avvelenamento dell’ambiente non riguarda solo il luogo geografico dove avviene. Ricordiamo Chernobyl, dove un incidente nucleare a migliaia di chilometri, ha decretato il cancro alla tiroide a bambini che, ignari, bevevano il latte delle mucche della Valtellina o a casalinghe che mangiavano l’insalata della pianura pontina.

Questo ha comportato miliardi di euro di spese in sanità , controlli, cure mediche, prevenzione. E non abbiamo preso in considerazione l’aspetto umano: lutti, preoccupazioni, dolore, sofferenze indicibili che potevano essere evitate o, quantomeno, attenuate.

Eppure la Bielorussia o l’Ucraina sembravano così lontano e così innocue.

Per la Cina o l’India il discorso è esattamente lo stesso. Il costo dell’inquinamento irreversibile del Fiume Giallo o l’aria irrespirabile delle metropoli ( ricordate i problemi per le Olimpiadi di Pechino, dove fu necessario chiudere per settimane le fabbriche, per garantire agli atleti un aria quantomeno respirabile ) è un conto che verrà presentato, prima o poi, a tutto il resto dell’umanità. Quello che oggi ci sembra un risparmio, tra non molto ci piomberà tra capo e collo con interessi da usuraio.

Una maglia prodotta in Cina non costa meno. Una parte del prezzo la paghiamo immediatamente in denaro alla cassa, una parte, ben più importante, ce la pagano i poveri disgraziati costretti a lavorare in condizioni disumane, una parte la paghiamo in costi sociali per i posti di lavoro che questa filosofia ci fa perdere a casa nostra e una parte è rappresentata da una cambiale che madre natura ci metterà all’incasso entro qualche decina di anni.

Ma l’egoismo – e l’ignoranza – ci portano a considerare solo la prima parte, quella che, fisicamente, esce dalle nostre tasche.

Ma su questo, non ci fa ragionare nessuno e molti di noinon hanno nenche i mezzi culturali elementari per farlo da soli.

Di questo non si parla, perché un meccanismo così terribilmente perverso è fonte di arricchimento smodato per pochi, di briciole avvelenate per molti e di dolore e povertà per moltissimi.

Ma i moltissimi, autentiche vittime della globalizzazione, non hanno parola, non hanno televisione per diffondere il loro disagio ne’ giornali per esprimere le loro opinioni.

E, ancora di più, non hanno cultura per appropriarsi di quei mezzi e di quegli strumenti indispensabili per costruire un mondo migliore e un domani pieno di speranza per i propri figli.

E la forza di ogni dittatura è il numero di ignoranti e di allineati.

Non a caso il carri armati hanno schiacciato gli studenti a Tienamen. La cultura fa paura, perché nella conoscenza è racchiuso il seme della Libertà e nella Libertà le radici del cambiamento e della liberazione della persona.

Il comunismo ha rappresentato per anni il miraggio di una società migliore, basata sulla equa distribuzione della ricchezza. E il suo fallimento è stato la dimostrazione che dove l’uomo è relegato ad un ruolo succube del sistema, tutto crolla. Il disastro del socialismo reale è la dimostrazione palese che l’economia non può e non deve essere la soluzione.

E non a caso, le prigioni del KGB per decenni hanno ospitato centinaia di intellettuali che, con la forza della conoscenza, rischiavano di mettere in crisi il regime sovietico.

E la lunga teoria di miseria, di povertà e di disperazione che il comunismo ha lasciato nell’ Europa dell’est, nel continente africano e in Asia sono il frutto di una ideologia basata sulla subordinazione dell’individuo e sulla soppressione della libertà individuale. Il “paradiso dei lavoratori” si è trasformato nell’”inferno della persona.

E il capitalismo moderno, basato sulla gestione sfrenata dei flussi finanziari, sulla esaltazione della ricchezza e sullo sfruttamento della persona è l’altra faccia della stessa terribile medaglia.

La crisi economica che ci attanaglia in questi mesi ha radici lontane, oltre l’Oceano Atlantico, lontane come Chernobyl o come il Fiume Giallo o il Muro di Berlino.

Ma per capire queste cose, bisogna conoscere. E la conoscenza ci da la libertà di scegliere il nostro futuro.

E un futuro degno di essere vissuto non può prescindere dal riappropriarsi di valori che questa società ha pensato di aver sepolto e dimenticato.

Dobbiamo riscoprire parole come solidarietà, come condivisione, come comunità, come sacrificio e come amore.

E’ necessario liberarsi dell’esaltazione dell’individualismo propria dei sistemi a capitalismo esasperato e da quella del sistema come panacea di tutti i mali, propugnata dal socialismo reale.

Occorre riscoprire i valori cristiani che hanno rappresentato le radici del nostro pensiero e della nostra cultura. Valori dove le difficoltà del singolo rappresentano un problema della comunità e nella comunità trovano risposte concrete. Risposte fatte di condivisione, di accoglienza, di solidarietà.

Solo se si considera l’altro importante e degno di attenzione e di rispetto possiamo creare una società dove i nostri figli possano guardare fiduciosi verso l’avvenire.

In questa ottica, la Politica diventa servizio e autentica ricerca del bene comune e non interesse privato e gestione egoistica della ricchezza.

La religione riacquista il senso della serenità dello spirito e della aspirazione alla ricerca del bene, dove l’accoglienza e la accettazione di chi sbaglia superano l’emarginazione e dove tutti possano vedere che l’amore non è una utopia filosofica ma uno stato di vita.

E dove Dio non è la somma di precetti e di condanne ma l’esaltazione del perdono e della misericordia.

E tutto ha una sola, indiscutibile verità. La conoscenza è la fonte della libertà.

La cultura ellenistica e cristiana hanno sempre indicato nella Libertà l’origine della dignità umana. Prometeo dona le proprie sofferenze all’umanità, perché possa godere del fuoco, sino ad allora appannaggio degli dei.

Cristo dona la sua vita all’uomo perché possa aprirsi ad un futuro di Libertà, vissuta senza il timore della morte.

Due esempi paradossalmente opposti, ma uniti da un comune denominatore: il bene di tutti nasce dalla donazione di ciascuno.

E non come vogliono farci credere che il bene di ciascuno nasce dall’egoismo e dalla prevaricazione.

Riflettiamo …

sabato 24 luglio 2010

Cardinal Vallini: io la penso come te!

La mia approvazione ( per quello che vale ) e la mia solidarietà vanno al Cardinal Vallini per la presa di posizione chiara e determinata sulla questione dei preti gay nella Diocesi di Roma.

La voce del Vicario del Papa torna su di un argomento che ha trovato eco nel servizio del settimanale Panorama che svela la doppia vita di sacerdoti cattolici che, come una sorta di Dr. Jekill e Mr Hyde, durante il giorno professano la fede e l’adesione ai principi professati dalla Chiesa Cattolica e, calate le tenebre abbandonano la talare per soddisfare istinti e debolezze di natura sessuale.

Pur se è vero che ciascuno di noi convive con le proprie debolezze e i propri problemi e talvolta cede ad azioni e pensieri che vanno contro i principi ai quali dichiara di aderire, è pur vero che i momenti di cedimento rappresentano un tributo alla natura umana e la dimostrazione che, lontano dall’aiuto di Dio, l’uomo è preda dei suoi più bassi istinti.

Ma tutto questo, per chi si professa cristiano, deve rappresentare l’eterna battaglia tra il bene e il male, il peccato e la grazia e non può e non deve essere considerato come uno stile di vita e come una resa ineluttabile a quello che da molti, invece, è considerato come un segnale di progresso e di apertura mentale.

Diverso è lo scoprirsi omosessuale e provare quindi una pulsione verso il medesimo sesso, diverso è il professarsi gay, cioè dare sfogo alla propria omosessualità nell’ambito di un rapporto occasionale o continuativo.

La sessualità è necessariamente ordinata alla procreazione, come la natura ha stabilito da sempre per garantire la sopravvivenza della specie e, proprio per questo esiste l’attrazione di un essere verso un altro individuo della stessa specie, ma di sesso opposto.

Per questo, l’omosessualità è da considerarsi come uno stato o una tendenza “non naturale” e anche nella accezione positiva più estrema, essa presenta una fondamentale incompletezza, relegando il rapporto ad un incontro tra due persone, anche pregnato affettivamente, ma privo di quegli elementi di progettualità e di apertura alla vita che solo un rapporto eterosessuale garantisce.

Il Cristianesimo è una concezione della vita aperta all’eterno e tutto quello che appare come una limitazione ( castità, continenza, fedeltà ) è da considerare come una parentesi temporanea in quella frazione dell’esistenza che è la vita.

In questa ottica ha senso la vocazione cristiana prima e quella presbiterale poi, che vuole essere la dimostrazione che tutto questo è realmente realizzabile, all’interno di una esperienza di vita vissuta all’insegna della serenità e avulsa da ogni tipologia di frustrazione.

Al contrario, la concezione materialista dominante si basa sull’assioma del “carpe diem”, dove la vita è un insieme di occasioni che vanno colte immediatamente, in considerazione del fatto che l’esistenza è limitata e che ogni occasione che si tralascia è irrimediabilmente persa. E, in relazione a ciò, la fuga dalla sofferenza e dalle limitazioni che la rappresentano è l’approccio prioritario da adottare.

La sessualità si scinde, quindi, dalla procreazione, rimanendo legata alla fisicità e all’affettività. In questa ottica, l’obiettivo non è più fissato oltre l’orizzonte dell’esistenza, ma è incentrato sul presente e sull’immanente.

Si giustifica così l’omosessualità, la provvisorietà delle relazioni affettive, le politiche di controllo delle nascite, la legalizzazione delle pratiche abortive.

Queste due concezioni sono assolutamente inconciliabili e sono altrettanto assolutamente alternative.

Chi sceglie liberamente un percorso di vita da prete, fa una scelta ben precisa. Legata all’impegno sociale, alla carità, all’apertura al prossimo, alla lotta all’ingiustizia e per la pace, ma legata anche ad una visione della sessualità ben precisa e delineata.

E le persone pretendono che i cristiani in generale e i presbiteri in particolare, siano testimoni credibili di quello che professano.

E questo deve essere vissuto come una scelta, anzi, come la migliore delle scelte possibili, dove uno stile di vita basato sulla castità e sulla temperanza non viene visto come una castrazione, ma come l’esaltazione di quella libertà che porta alla felicità.

Chi ha scelto di essere prete, dicevano, non può prescindere da tale impostazione e non può cercare di conciliare l’inconciliabile rimanendo nell’ambiguità.

E allora fa il suo dovere Agostino Vallini, cardinale di Santa Romana Chiesa, quando condanna senza appello non chi sbaglia per debolezza, ma chi cerca di giustificare stili di vita che non appartengono alla realtà che dice di rappresentare.

In questo millennio, nato all’insegna delle molte verità e del relativismo più spinto, rimane un unico punto di riferimento, al quale tutti ci dobbiamo piegare: la morte.

Occorre scegliere su considerarla come il termine di una esistenza da consumare sino all’ultima briciola, vista la brevità e le difficoltà che la attraversano, o come una porta spalancata sull’eternità. Da questa scelta derivano tutte le altre.

E chi indossa un determinato abito o professa una determinata fede, la scelta deve averla già fatta.

E deve, necessariamente, essere chiara.

lunedì 12 luglio 2010

Il Mondiale del Calcio ... finito a calcioni! Festival del cartellino in Sudafrica


Per la prima volta una formazione europea conquista la Coppa del Mondo in un mondiale disputato fuori dal continente. Solo il Brasile stellare di Pelè, Didì e Vavà era riuscito a fare bottino pieno in Europa nel Mondiale di Svezia, altrimenti la regola era in Europa vince una europea e fuori una sudamericana ( Brasile o Argentina ). E alla vigilia la finale che i bookmakers davano per più accreditata era proprio quella tra i ragazzi di Dunga e quelli di Maradona.

Invece, come pronosticato dal polpo Paul, è stata la Spagna di Iniesta ad alzare al cielo sudafricano il trofeo più prestigioso. Un Mondiale con tante vincitrici: la Spagna, appunto, la Germania dei giovani e degli immigrati di lusso, il Sudafrica che, contro ogni previsione, è riuscita ad organizzare e gestire un mondiale vivace, accogliente, sicuro e … rumoroso, che non ha avuto nulla da invidiare alle edizioni disputate in paesi considerati, a torto o a ragione, più “sviluppati”.

Ma anche con tanti sconfitti: l’Italietta di Marcello Lippi che non poteva onorare peggio (o disonorare meglio ) il titolo conquistato a Berlino nel 2006, la corazzata Argentina, miseramente affondata dai siluri del panzer germanico, il Brasile di Dunga che ha voluto snaturare il suo gioco per vincere e invece è stato eliminato dall’Olanda cattiva e tutta cuore e polmoni del duo Schneider-Robben.

Nella finale ha perso persino il fair play. Abbiamo assistito ad un brutto incontro di lotta libera per almeno i tre quarti dell’incontro che, se non fosse stata la finale della Coppa del Mondo, sarebbe prematuramente finita … per mancanza di interpreti. Raramente abbiamo visto tanto furore agonistico. L’Olanda, eterna seconda ( tre finale disputate e altrettante sconfitte: Germania 74, Argentina 78 e Sudafrica 2010 ) aveva pensato che per battere le furie rosse fosse necessario “abbatterle” fisicamente. Capita l’antifona, la Spagna ha pensato bene di rispondere per le rime, facendo vedere, complessivamente tanti calci e poco calcio e un turbinio di cartellini gialli ( e un rosso ) da guinnes dei primati.

E così, alle vincitrici Uruguay, Brasile, Italia, Francia, Inghilterra, Argentina, Germania, si aggiunge l’ottava sorella. E all’Olanda, visto l’esaurirsi funesto del proverbio “ … non c’è due senza tre”, occorre aspettare altri quattro anni per tentare di rifarsi, anche se nel 2014 in Brasile, la vedo veramente dura.

L’Italia si rifonda, dunque, con Cesarone Prandelli che ha già dichiarato, con il beneplacito di Abete ( che come dice il suo cognome, ha mantenuto le radici ben piantate in Federcalcio, nonostante la figura barbina che abbiamo rimediato ) che utilizzerà a spada tratta “epurati” e oriundi ( come fece “Mondino” Fabbri nel 1962 in Cile ). Intanto la Federcalcio trova la soluzione da tutti i mali nel limitare, a mercato avviato e affari conclusi, il numero di extracomunitari tesserabili ex novo, portandolo da due a uno, con disperazione e travasi di bile da parte di presidenti e tifosi.

E avendo risolto tutti i mali del calcio nostrano con la tessera del tifoso e un solo nuovo extracomunitario per squadra, possiamo puntare con speranza alla “ auspicabile” qualificazione per la prossima edizione del Mundial brasileiro, anche se, guardando bene, sarà ben difficile trovare tra le europee che cercheranno di sbarrarci la strada, formazioni più scarse di Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia.

Qualcuno dovrebbe suggerire ad Abete che nella Spagna Campione del Mondo il “blocco” era quello del Barcellona, ai vertici della Liga e della Champions League, mentre nell’Italietta eliminata in Sudafrica, il “blocco” era quello dell’Udinese, dignitosa formazione di provincia che da sempre lotta per non retrocedere in Serie B.

Meditate, gente, meditate …

domenica 4 luglio 2010

TUTTI A CASA!


Doppia lezione all’Italia che vuole sembrare rigorosa e organizzata, quando chi paga sono i cittadini, ma che in realtà è scialacquona e dissennata nella gestione quotidiana.

Doppia lezione, dicevo, perché dai primi Mondiali in terra d’Africa, emerge la Germania dei giovani, delle politiche serie di ricostruzione di un movimento calcistico rifondato dopo Berlino 2006.

I tedeschi, famosi per vincere le battaglie, ma per perdere regolarmente le guerre, stavolta invece la loro guerra l’hanno vinta, anzi, stravinta. Il 4 a 0 che ha mandato a casa l’Argentina ( dopo il 4 a 1 che ha fatto subire la stessa sorte ai blasonatissimi inglesi di Superfabio ) è la dimostrazione che il calcio può ancora essere una cosa bella e entusiasmante. Scesi in campo con i favori del pronostico i biancocelesti di Diego Armando Maradona, zeppi di superstar ( Messi, Tavarez, Mascherano, Burdisso … ) si sono trovati davanti un manipolo di giovanotti scatenati che non hanno alzato la testa dal primo all’ultimo minuto, macinando chilometri, saltando sempre più in alto degli avversari, mettendoci sempre testa , cuore … e piede.

L’Italia invece se ne è andata così mestamente che più mestamente non si può. Ultima nel girone più facile, con soli due puntarelli, rubacchiati a Paraguay e Nuova Zelanda e addirittura messi sotto da una modesta Slovacchia.

Abbiamo raccolto quello che il movimento calcistico italiano sta seminando. Ci siamo indignati per le scelte di Marcello Lippi, ma poi, guardandoci indietro ci siamo accorti di non avere più centrocampisti italiani da convocare e quindi, nel “luogo dove nasce il gioco” ( per dirla con Gianni Rivera ) avevamo solo vecchietti scassati ( Totti, Pirlo, Perrotta, Gattuso, Camoranesi ) o pochissimi ragazzotti di belle speranze ma di ben poco spessore. Se poi ci mettiamo che gli unici due talenti, Balotelli e Cassano li abbiamo lasciati a casa “per difficoltà di gestione”, la frittata è bella che fatta.

Tutti ormai cercano il talento straniero da portare in casa, come se dalle parti nostre il buon Dio si fosse dimenticato, dopo millenni, di far nascere pargoli con i piedi buoni e la testa a posto.

E a furia di saccheggiare le riserve auree dei poveri ( Africa e America latina in pole position ) ci troviamo di fronte a Nazionali africane e sudamericane con giocatori che giocano dappertutto meno che in Africa e la Nazionale Italiana che non ha più giocatori italiani di livello.

Come sempre, chiudiamo la stalla dopo che i buoi se ne sono da tempo andati via. La norma che prevede la riduzione immediata del numero di extra comunitari da tesserare arriva tardi e intempestiva, a dimostrazione di una politica generale del calcio fallimentare a tutti i livelli.

Occorre ricominciare, puntando sui giovani, sulle piccole squadre attive sul territorio, sui dilettanti veri, sulle parrocchie. Occorre ripartire da zero. Non è più il tempo di mettere toppe. La nave sta affondando, anzi, è bella che affondata.

Se il nostro fosse un paese serio, il presidente federale rassegnerebbe le proprie dimissioni e con lui tutto lo staff dirigenziale della FIGC.

Ma il nostro è tutto purchè un paese serio e tutti rimarranno al loro posto, a cercare, come sempre scuse e giustificazioni al dilettantismo imperante nello sport più professionistico che c’è al mondo.

E stavolta ci vorrebbe tutta la Via Lattea, perché, al punto dove siamo arrivati, neanche lo Stellone basta più…