sabato 24 luglio 2010

Cardinal Vallini: io la penso come te!

La mia approvazione ( per quello che vale ) e la mia solidarietà vanno al Cardinal Vallini per la presa di posizione chiara e determinata sulla questione dei preti gay nella Diocesi di Roma.

La voce del Vicario del Papa torna su di un argomento che ha trovato eco nel servizio del settimanale Panorama che svela la doppia vita di sacerdoti cattolici che, come una sorta di Dr. Jekill e Mr Hyde, durante il giorno professano la fede e l’adesione ai principi professati dalla Chiesa Cattolica e, calate le tenebre abbandonano la talare per soddisfare istinti e debolezze di natura sessuale.

Pur se è vero che ciascuno di noi convive con le proprie debolezze e i propri problemi e talvolta cede ad azioni e pensieri che vanno contro i principi ai quali dichiara di aderire, è pur vero che i momenti di cedimento rappresentano un tributo alla natura umana e la dimostrazione che, lontano dall’aiuto di Dio, l’uomo è preda dei suoi più bassi istinti.

Ma tutto questo, per chi si professa cristiano, deve rappresentare l’eterna battaglia tra il bene e il male, il peccato e la grazia e non può e non deve essere considerato come uno stile di vita e come una resa ineluttabile a quello che da molti, invece, è considerato come un segnale di progresso e di apertura mentale.

Diverso è lo scoprirsi omosessuale e provare quindi una pulsione verso il medesimo sesso, diverso è il professarsi gay, cioè dare sfogo alla propria omosessualità nell’ambito di un rapporto occasionale o continuativo.

La sessualità è necessariamente ordinata alla procreazione, come la natura ha stabilito da sempre per garantire la sopravvivenza della specie e, proprio per questo esiste l’attrazione di un essere verso un altro individuo della stessa specie, ma di sesso opposto.

Per questo, l’omosessualità è da considerarsi come uno stato o una tendenza “non naturale” e anche nella accezione positiva più estrema, essa presenta una fondamentale incompletezza, relegando il rapporto ad un incontro tra due persone, anche pregnato affettivamente, ma privo di quegli elementi di progettualità e di apertura alla vita che solo un rapporto eterosessuale garantisce.

Il Cristianesimo è una concezione della vita aperta all’eterno e tutto quello che appare come una limitazione ( castità, continenza, fedeltà ) è da considerare come una parentesi temporanea in quella frazione dell’esistenza che è la vita.

In questa ottica ha senso la vocazione cristiana prima e quella presbiterale poi, che vuole essere la dimostrazione che tutto questo è realmente realizzabile, all’interno di una esperienza di vita vissuta all’insegna della serenità e avulsa da ogni tipologia di frustrazione.

Al contrario, la concezione materialista dominante si basa sull’assioma del “carpe diem”, dove la vita è un insieme di occasioni che vanno colte immediatamente, in considerazione del fatto che l’esistenza è limitata e che ogni occasione che si tralascia è irrimediabilmente persa. E, in relazione a ciò, la fuga dalla sofferenza e dalle limitazioni che la rappresentano è l’approccio prioritario da adottare.

La sessualità si scinde, quindi, dalla procreazione, rimanendo legata alla fisicità e all’affettività. In questa ottica, l’obiettivo non è più fissato oltre l’orizzonte dell’esistenza, ma è incentrato sul presente e sull’immanente.

Si giustifica così l’omosessualità, la provvisorietà delle relazioni affettive, le politiche di controllo delle nascite, la legalizzazione delle pratiche abortive.

Queste due concezioni sono assolutamente inconciliabili e sono altrettanto assolutamente alternative.

Chi sceglie liberamente un percorso di vita da prete, fa una scelta ben precisa. Legata all’impegno sociale, alla carità, all’apertura al prossimo, alla lotta all’ingiustizia e per la pace, ma legata anche ad una visione della sessualità ben precisa e delineata.

E le persone pretendono che i cristiani in generale e i presbiteri in particolare, siano testimoni credibili di quello che professano.

E questo deve essere vissuto come una scelta, anzi, come la migliore delle scelte possibili, dove uno stile di vita basato sulla castità e sulla temperanza non viene visto come una castrazione, ma come l’esaltazione di quella libertà che porta alla felicità.

Chi ha scelto di essere prete, dicevano, non può prescindere da tale impostazione e non può cercare di conciliare l’inconciliabile rimanendo nell’ambiguità.

E allora fa il suo dovere Agostino Vallini, cardinale di Santa Romana Chiesa, quando condanna senza appello non chi sbaglia per debolezza, ma chi cerca di giustificare stili di vita che non appartengono alla realtà che dice di rappresentare.

In questo millennio, nato all’insegna delle molte verità e del relativismo più spinto, rimane un unico punto di riferimento, al quale tutti ci dobbiamo piegare: la morte.

Occorre scegliere su considerarla come il termine di una esistenza da consumare sino all’ultima briciola, vista la brevità e le difficoltà che la attraversano, o come una porta spalancata sull’eternità. Da questa scelta derivano tutte le altre.

E chi indossa un determinato abito o professa una determinata fede, la scelta deve averla già fatta.

E deve, necessariamente, essere chiara.

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